Roscellino di Compiègne è stato un monaco e filosofo medievale nato in Francia probabilmente tra l’XI e il XII secolo, fu il massimo esponente del nominalismo estremo od esagerato. Studiò a Soissons e a Reims, poi insegnò a Compiègne e poi in altre città francesi (Tours, Loches) dove ebbe per allievo Pietro Abelardo. Accusato di eresia, fu condannato dal concilio di Soissons nel 1092 ed espulso prima dalla Francia e poi dall’Inghilterra. Egli è noto grazie alle opere dei suoi avversari ed in particolare perché fu aspramente criticato da due grandi filosofi di quegli anni: Pietro Abelardo e Anselmo d’Aosta. Tutto ciò che sappiamo di questo filosofo, lo conosciamo grazie alle opere degli avversari, ma questa mancanza di fonti dirette costituisce un problema rilevante, in quanto non ci consente di avere una piena comprensione del pensiero originario di questo filosofo. Inoltre, Roscellino viene indicato dai suoi avversari come uno di quei pensatori che rifiutavano il platonismo teologico, ossia il platonismo posto come fondamento alla speculazione filosofica e teologica. Tutte le sue opere andarono perdute, ad eccezione di un’epistola al suo ex allievo Abelardo nella quale Roscellino difende la propria lettura del dogma cristiano della Trinità e dove attacca pesantemente Abelardo.
In un’epistola del “De incarnazione verbi“, Anselmo critica la posizione di Roscellino per quanto riguarda sia l’aspetto logico, sia l’aspetto teologico. Secondo Anselmo, Roscellino riduceva gli universali (i predicati della sostanza) a dei semplicissimi “flatus vocis“, ossia a delle semplici emissioni di fiato; perché secondo il filosofo, la parola non coglie la verità della cosa (la sua essenza), ma la indica semplicemente; e quindi Roscellino giunse a definire la dialettica (per i medievali la logica) inutile. Il termine “uomo” secondo Roscellino non significa niente, perché si tratta di uno spostamento d’aria, di una mera convenzione del linguaggio quotidiano volta a riferirsi ad un individuo o ad un gruppo di nomi. Egli riteneva che solo le cose e le sostanze fossero individui reali. Dunque, Giovanni (uomo particolare) è reale e la parola che lo indica designa una cosa reale; invece, la parola animale (cioè il genere dell’individuo particolare Giovanni) e la parola uomo (la specie di Giovanni) non designano nulla, sono semplici emissioni di voce. Quindi Roscellino negava la realtà dell’essenza universale, che si ottiene dalla riconduzione dell’individuo particolare (Giovanni) all’interno di quell’insieme che è la specie, ottenuto attraverso una differenza specifica, ossia che lo contraddistingue all’interno della specie (uomo razionale, virtuoso) che a sua volta rientra in un gruppo più ampio, ossia il genere (animale).
Abelardo attacca Roscellino in due opere: “La Dialettica” e in un’epistola inviata al vescovo di Parigi per informarlo dell’eresia di Roscellino. La critica mossa da Abelardo riguarda il piano logico, e poi quello strettamente teologico. Infatti, secondo Abelardo, chi come Roscellino non comprendeva bene l’essenza dell’universale, negandone addirittura la reale sussistenza, non solo non coglieva il nesso esistente tra un termine universale come uomo e uno particolare come Giovanni, ma era sprovvisto anche delle capacità dialettiche (logiche) necessarie che gli avrebbero permesso di comprendere il dogma cristiano dell’unità della Trinità. Non avendo compreso la reale sussistenza dell’universale, Roscellino non avrebbe potuto comprendere nemmeno la duplice natura di Cristo (umana e divina) e per questo nel concilio di Soissons sarà accusato e condannato di triteismo, in quanto Roscellino non sarà in grado di sussumere Gesù Cristo e lo Spirito Santo in un’unica entità dovendo ammettere al contempo l’esistenza di tre divinità separate e distinte.
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Giulio D’Onofrio, “Storia del pensiero medievale”, Città Nuova, quarta edizione (13 febbraio 2013)
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