Il Re è morto! Viva il Re! Storie di discendenze hegeliane. Jacques Lacan

La volontà di questa “saga”, divisa in tre episodi, è quella di parlare della discendenza hegeliana. Non mi soffermerò sul personaggio in sé, perché non ha bisogno certamente di presentazioni. Dirò solamente che ci troviamo di fronte ad un vero e proprio gigante, un autore che ha lasciato il segno, dalla sua epoca fino ai giorni nostri.

La sua eredità è preziosa e fruttuosa, un ostacolo inaggirabile pari al pensiero di ad esempio Platone o Aristotele. Non a caso si parla sempre di un “prima ed un dopo Hegel”.

Parlare dell’hegelismo, in generale e dei vari suoi interpreti, richiede veramente molto tempo. Proprio per questo motivo ho scelto tre autori per tracciare un percorso che va dalla fine dell’Ottocento fino alla contemporaneità: August Cieszkowski, Alexandre Kojève e Jacques Lacan.

Tre personalità diverse di epoche diverse, che a modo loro hanno reinterpretato e attualizzato il pensiero del filosofo tedesco.

Arriviamo all’ultimo degli autori in programma. Non si tratta di un filosofo, parliamo di uno psichiatra ed analista, ma che ha studiato molto la filosofia e l’ha tematizzata nella sua lunghissima attività seminariale. Non è nemmeno un mistero il debito nei confronti di Hegel in quanto Lacan è stato allievo proprio di Alexandre Kojève. Da non scordare anche il debito con Karl Marx, il cui studio sarà fondamentale per la formulazione del concetto dell’oggetto a (oggetto motore del Desiderio) come “plusgodimento”.

Come unire quindi Lacan ad Hegel? Come detto, lo facciamo leggendo la Fenomenologia, attraverso lo sguardo di Kojève, e interpretandola come un “romanzo di formazione” (di tipo dialettico) della soggettivazione.

Uno dei trait d’union tra i due è quella che entrambi chiamano “la scissione”: ci sono Filosofia (Hegel) e Inconscio (Lacan) perché il soggetto è scisso. L’Io è diviso, cerca invano di ricomporsi, di farsi Uno. Il problema è che non sa dove cercare il “pezzo mancante”, per questo è mosso dal Desiderio, che in Hegel è quello della filosofia e in Lacan è l’essere desiderato dall’altro.

Un altro tema importante ovviamente è quello della coscienza: in entrambi gli autori la coscienza è chiamata ad approssimarsi alla realtà e cioè, potremmo dire, a rappresentare la realtà nella maniera più adeguata possibile, a tradurla in discorso, in concetto. Questo tipo di presupposto, tuttavia, è fallace: per Hegel la conoscenza e la realtà sono manifestazioni dell’Assoluto, che è Illimitato. Che cos’è allora una conoscenza errata? È una conoscenza inadeguata rispetto alla realtà che vorrebbe rappresentare, se non ancora una manifestazione dell’Assoluto. Non a caso il Reale per Lacan è qualcosa che sfugge da qualsiasi processo di simbolizzazione, è un sapere che ci interroga e “ci chiede” di concettualizzarlo, ma non ne siamo mai in grado di riuscirci, persistiamo nel farlo dialetticamente.

Il terzo tema, che lega Lacan ed Hegel attraverso la mediazione di Kojève, è quello del Desiderio, a partire dal bisogno di riconoscimento dell’Altro. Una delle domande chiave del Soggetto della psicoanalisi lacaniana si può esprimere così: “tu cosa vuoi da me?”. Nella soggettivazione l’incontro con questo enigma è decisivo. La struttura del Desiderio è dialettica: c’è il Soggetto, l’oggetto perduto che genera desiderio e il Desiderio in senso stretto a fare da ponte. Questo possiamo vederlo nel matema proposto nel Seminario XIV a proposito del Fantasma: $<>a. “$” è il Soggetto scisso di cui abbiamo parlato prima, “a” rappresenta l’oggetto perduto e “<>” il legame reciproco fra i due.

La scissione ha qualcosa di “mortifero” ed al contempo “generativo”: non è la morte in senso biologico, ma quella di una parte di ciò che ero prima di “evolvere”. La soggettivazione, quindi, è una continua Aufhebung perchè io, istante per istante, mi “distinguo” dall’Altro assorbendone un pezzetto.
Questa lotta dell’autocoscienza con la vita e contro la vita è una lotta destinata al fallimento perché, riprendendo Hegel, l’autocoscienza riesce nel proprio tentativo di affermare se stessa contro la vita, quanto più tende a perdere la sua stessa vita. Non esiste un “altro”, fenomenologicamente parlando, perché questo altro è già nell’autocoscienza, è IN me. Nel rapporto con la vita bisogna che l’autocoscienza arrivi a sdoppiarsi in se stessa, e cioè a scoprire che l’altro è già qui. Ingaggia una lotta, ma non con la vita, bensì con l’altro per la vita e per la morte. Questa lotta, che Hegel chiamerà “lotta per il riconoscimento”, quello che non deve accadere è la morte fisica. Deve esserci invece la paura, la minaccia della morte fisica, una pulsione che paradossalmente ha un che di vitale. Io voglio sopravvivere per “dominarti”, per “mangiare” un pezzetto di te.

Questo meccanismo è di tipo antropogenetico, cioè il Desiderio dell’uomo è sempre il Desiderio dell’altro, come sottolinea anche Lacan. Questa è la radice del legame sociale: noi siamo in mezzo agli altri perché supponiamo che abbiano qualcosa dell’oggetto che a me manca. La questione del legame può essere tematizzata in due maniere. La prima accezione di questa teorizzazione è quindi mimetica, noi imitiamo ciò che l’altro mette in campo come oggetto del Desiderio, perché l’oggetto è desiderabile proprio per il fatto che non è mio e che voglio possederlo. La seconda accezione è propriamente dialettica: il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’altro, perché il desiderio desidera essere desiderato dal desiderio dell’altro come desiderio desiderante. In questo circolo nasce il desiderio d’amore. Ma proprio perché questa Aufhebung, che è nientemeno che la Vita stessa, anche il Desiderio inciampa sull’impossibilità di trovare un limite nell’Assoluto: essendo la soggettivazione un processo proiettato in avanti, sarà sempre impossibile fare Uno con l’Altro. È per tal motivo che in termini provocatori Lacan affermava “non c’è rapporto sessuale”, perché è un godimento autoriferito.

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