Baustelle, la mistica dell’Occidente

Fin dall’antichità musica e filosofia occidentale si sono intrecciate per tessere una trama capace di descrivere il senso di stupore di fronte all’Esistente. Mirando alla descrizione del sublime del Mondo, l’uomo ha cercato anche con questa forma d’arte di produrre qualcosa che fosse all’altezza di ciò che lo circondava. Prima con Pitagora, poi con Platone, passando per i canti gregoriani e arrivando all’idea di sublime del romanticismo, la storia di questo legame è durato nei secoli.

Non sorprende quindi che si sia cercato anche di “parlare” di filosofia o citarla nei testi musicali. Vorrei affrontare la questione a partire da un gruppo italiano al quale sono particolarmente affezionato: i Baustelle.

Lo stile raffinato e “cantautorale” è già noto a molti grazie ai singoli “radiofonici”, ma è nei brani meno noti alla dimensione mainstream che si disvelano messaggi profondi e “impegnativi”. I brani che ho selezionato per voi provengono da tre album maturi della band: L’Indaco e San Francesco da I mistici dell’Occidente (2010), Nessuno e Radioattività da Fantasma (2013), infine Il vangelo di Giovanni da L’amore e la violenza (2017).

Il filo rosso che collega i brani è il rapporto tra Soggetto (il cantante o colui che ascolta) e una certa idea di mistica, riflessa in un’etica volta alla riscoperta dell’Esistente, dell’Esistenza e al quel “di più” che si cela in essi.

L’Indaco è il primo brano de I mistici dell’Occidente (omen nomen) e che fa da apripista al nostro viaggio spirituale e filosofico: un testo che invita a lasciar andare gli affanni della quotidianità, le cose materiali («quando partono le rondini, lasciale andare» oppure «quando passa il carro funebre, fallo passare»), per partire come dei novelli Ulisse oltre le colonne d’Ercole alla ricerca di ciò che c’è «un indaco mare».

San Francesco è più di un Cantico delle Creature moderno, antropocentrico e proiettato verso la nostra società consumistica. È il canto di una Natura Naturans e Natura Naturata, onnipresente sia nel principio della carne («sono in fiore, sono vergine») che nella corruzione della decadenza corporea («sono in pasto ai cimiteri, morirai per me?»). La lezione proviene da Eckhart, quella di rigettare il sapere saputo, il sapere delle Scritture per aprirsi al Vero («quel che impari dalla vita non è vero, non è vero»).

Lezione ripresa anche nel testo di Nessuno: «Non credo alla Bibbia, mi chiedo perché dovrei consultarla, offende gli dei. Non prego la Chiesa, il fetore che fa». Fa anche capolino, in sordina, un velato riferimento al “Dio è morto” di Nietzsche: il Dio moderno del «non credo al mercato, produce demenza» è un Dio morto, un Dio creato dall’Uomo per l’Uomo al quale rinunciare per giungere alla riscoperta di una nuova Vita. Una Vita, un Amore singolare, il migliore che ci si possa auspicare: «E vieni a vivere con me un mondo atroce vieni qua a sopportarne la follia. E dammi figli e oscenità, e tenerezza e dignità. Non ho amato mai nessuno come te»

Radioattività sembra amabilmente richiamare un’energia cosmica dalla quale cerchiamo sempre di fuggire («che siamo troppo avvezzi a stare male, a proteggerci dal sole, dalla radioattività»). Anche qui gli affanni della vita terrena e mondana vanno abbandonati con lo scopo di aprirsi e abbandonarsi a qualcosa di più autentico e superiore, superando anche le costruzioni metafisiche umane, inefficaci nel descrivere l’Oltre: «Bisogna avere fede

esplorare ogni spazio siderale abolire l’aldilà». Interessante come nelle varie ripetizioni del ritornello questo Aldilà vada prima presupposto, poi superato ed infine abolito.

Esiste anche qui un invito pratico, un invito allo stare sul limite e al guardare le tracce, le briciole dell’Essere all’interno delle cose che ci fanno male: «così ti stringo forte, grido amore cerco il bene nell’orrore e l’eterno nell’età».

Infine, giungiamo a Il vangelo di Giovanni. La peculiarità del Vangelo di Giovanni (quello vero) è di essere quello più intriso di mistica, reso celebre dal prologo riguardo al Logos:

Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν, καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος. οὗτος ἦν ἐν ἀρχῇ πρὸς τὸν θεόν.In principio era il Logos e il Logos era presso Dio, e il Logos era Dio. Questi era in principio presso Dio.

Un principio che rimanda ad Eraclito (ma non solo), una ricerca di un “principio di senso logico” oltreché di parola (le traduzioni contemporanee tendono per tradurre logos con Verbo), per spiegare l’assurdità dell’Esistente e dell’Esistenza. Non solo una parola creatrice, non solo un messaggio di testimonianza, ma un pensiero razionale che ordina tutte le cose. Un Vangelo che vede il passaggio in greco dal termine ἔρως, che comunque richiamava ad un rapporto “desiderante”, a quello poi rimasto nella cristianità: ἀγάπη (in latino caritas) e che rappresenta l’amore disinteressato e smisurato. Questo passaggio pare essere trasmesso sotto forma di invito nel ritornello, sempre accompagnato dall’abbandono della mondanità: «Io non ho più voglia di ascoltare questa musica leggera. Meglio sparire nel mistero del colore delle cose, quando il sole se ne va. Resta poco tempo per capire il significato dell’amore. Idiozia di questi anni, il vangelo di Giovanni, la mia vera identità».

La musica dei Baustelle rappresenta una sorta di mappa per l’anima, un percorso iniziatico che ci conduce verso la scoperta di noi stessi e del mondo che ci circonda. Attraverso testi poetici e melodie evocative, la band ci invita a superare i limiti della nostra razionalità e ad aprirci all’esperienza del mistero dell’Esistente e dell’Esistenza.

In un’epoca caratterizzata da un crescente individualismo e dalla perdita di senso, la ricerca di una dimensione trascendente sembra più urgente che mai. E la musica, in tutte le sue forme, continua a essere un potente strumento per esplorare non solo gli abissi dell’animo umano, ma anche cogliere il θαυμάζειν del Mondo.

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