Letture novecentesche di Spinoza: Gilles Deleuze (11)

L’equiparazione che Baruch Spinoza (1632-1677) fa della emanazione con l’immanenza è oggetto di un affascinante capitolo del saggio di Gilles Deleuze Spinoza et le problème de l’expression (1968, tr. it. Spinoza e il problema dell’espressione, Quodlibet, Macerata, 1999). La causa emanativa (tipica del neoplatonismo) e la causa immanente, pur avendo la caratteristica comune di non uscire da sé, ma di rimanere in sé per produrre, in realtà differiscono nel modo in cui sono produttive. Nell’emanazione, infatti, l’effetto produttivo non rimane nella causa. Nell’immanenza l’effetto rimane nella causa, così come la causa rimane in sé. Questa differenza fa sì che nell’emanazione la differenza degli enti sia concepita come una differenza gerarchica, dove ogni termine si definisce mediante il grado di lontananza che lo separa dalla causa prima o dal primo principio. Nell’immanenza invece gli enti non si definiscono in funzione del rango che occupano in una gerarchia, ma dipendono tutti direttamente da Dio, partecipano all’uguaglianza dell’ente e ricevono immediatamente tutto quello che possono ricevere in base alla capacità della loro essenza, indipendentemente da ogni vicinanza o lontananza. Nella filosofia medievale, e poi rinascimentale, la causa immanente tende ad unirsi alla causa emanativa secondo la coppia di nozioni complicare-explicare. L’immanenza è definita dalla complicazione e dalla esplicazione, dall’inerenza e dall’implicazione. All’emanazione si sostituisce l’espressione immediata e adeguata di un Ente assoluto che comprende tutti gli enti e si esplica mediante l’essenza di ciascuno di essi. Rimane, però, un principio di trascendenza per consentire la conservazione dell’inesprimibile all’interno dell’espressione. Per questo Dio continua ad esprimersi in un’Idea esemplare di cui le cose sono un’imitazione. Viene salvaguardata così l’idea adi creazione e, con essa, una concezione analogica dell’ente. Lo spinozismo afferma, invece, l’immanenza come principio, liberando l’espressione da ogni tipo di subordinazione rispetto ad una causa emanativa o esemplare. L’espressione cessa di emanare e di somigliare. Ma un tale risultato può essere raggiunto solo in una prospettiva di univocità. Dio è causa di tutte le cose, così come è causa di sé, produce così come esiste formalmente, o come intende sé stesso oggettivamente. La gerarchia delle modalità in Dio prende il posto della gerarchia delle emanazioni ma, in ogni modalità, Dio si esprime immediatamente, o produce direttamente i suoi effetti. Ogni effetto è dunque in Dio e rimane in Dio, e Dio è presente in ciascuno dei suoi effetti. Riassumendo quindi in Spinoza l’idea di espressione si può articolare in tre momenti: (i) la sostanza si esprime prima di tutto in sé stessa: si esprime negli attributi formalmente, qualitativamente, realmente, distinti (ritroviamo qui il duplice movimento del complicare-explicare: la sostanza “complica” gli attributi ognuno dei quali esplica l’essenza della sostanza); (ii) la sostanza si esprime per sé stessa. Dio non si esprime né si esplica senza intendere sé stesso: la potenza di pensare, che corrisponde all’idea di Dio, è uguale alla potenza di esistere, che corrisponde agli attributi; (iii) la sostanza si riesprime e gli attributi si esprimono a loro volta nei modi: questa terza espressione è quantitativa: intensiva nelle essenze dei modi, estensiva allorché i modi passano all’esistenza. I modi sono espressivi in quanto implicano le stesse forme qualitative che costituiscono l’essenza della sostanza.                

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