Letture novecentesche di Spinoza: Gilles Deleuze (10)

Secondo il filosofo René Descartes (Cartesio) (1596-1650), prima di avere una conoscenza chiara e distinta della causa occorre avere una conoscenza chiara e distinta dell’effetto. Questo è il metodo analitico di Cartesio, metodo di inferenza o di implicazione. Per Baruch Spinoza (1632-1677), invece, sembra valere il metodo sintetico di Aristotele, secondo il quale la vera scienza procede dalla causa all’effetto, Come Gilles Deleuze (1925-1995) spiega in un illuminante capitolo del suo saggio Spinoza et le problème de l’expression (1968, tr. it. Spinoza e il problema dell’espressione, Quodlibet, Macerata, 1999) in realtà Spinoza evidenzia l’insufficienza di entrambi e metodi, mettendo insieme Cartesio e Aristotele perché astrarre un universale da una conoscenza confusa dell’effetto (come accade nel metodo sintetico) o ricavare una causa da una conoscenza chiara dell’effetto (come accade nel metodo analitico) significa più o meno la stessa cosa.  Questo parallelismo offre a Spinoza la possibilità di sormontare le difficoltà dell’aristotelismo. Per Spinoza, infatti, la causa formale di un’idea non è mai un universale astratto. Gli universali, generi o specie, rimandano ad una potenza di immaginare, ma questa potenza diminuisce quante più cose conosciamo. La causa formale dell’idea vera è la nostra potenza di conoscere, e quante cose più conosciamo tanto meno formiamo le finzioni del genere e della specie. Inoltre, per Spinoza la causa materiale di un’idea non è una percezione sensibile confusa: un’idea di una cosa particolare ha sempre la sua causa in un’altra idea di una cosa particolare determinata a produrla. Il metodo sintetico, permettendoci di comprendere la nostra potenza di conoscere, è anzitutto riflessivo. Anche se forma o finge una causa in funzione dell’effetto, la regressione attraverso la quale ci permetta di arrivare, quanto prima, all’idea di Dio come fonte di tutte le altre idee è, però, minima. Da questo punto di vista, il metodo è costruttivo o genetico. Le idee, infine, che derivano dall’idea di Dio sono idee di enti reali: la loro produzione corrisponde alla deduzione del reale, la forma e la materia del vero si identificano con la concatenazione delle idee. Il metodo, quindi, sotto questo aspetto è deduttivo. Riflessione, genesi e deduzione costituiscono i tre momenti del metodo sintetico. La deduzione delle cose procede, però, secondo un ordine di causalità che non è diversa da quella con cui Dio è causa di sé. Per Spinoza Dio non è causa di sé in un senso diverso da quello da quello in cui è causa di tutte le cose. Al contrario, è causa di tutte le cose nel senso stesso in cui è causa di sé. La causa di sé non si predica in un senso diverso dalla causa efficiente, anzi è la causa efficiente che si predica nello stesso senso della causa di sé. Dio produce così come esiste: da un lato, produce necessariamente, dall’altro produce necessariamente negli stessi attributi (pensiero e estensione) che costituiscono la sua essenza. Il concetto spinozista dell’immanenza non ha altro senso che questo: esprime la doppia univocità della causa e degli attributi, ossia l’unità della causa efficiente e della causa formale, l’identità tra l’attributo che costituisce l’essenza della sostanza e quello che è implicato dalle essenze delle creature. Ciò che è in sé e ciò che è in altro non sono predicati nello stesso senso, ma l’essere è predicato formalmente nello stesso senso di ciò che è in sé e ciò che è in altro. Ente-uno, Ente-uguale, Ente-univoco

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