Dante, desiderio, donna. IV

4. L’uscita dal Paradiso e la lezione di Kant con Sade: la presa di responsabilità.

La Commedia è nel complesso un viaggio iniziatico, una versione poetica ante litteram dei romanzi di formazione in voga dal ‘700 in poi. Non c’è solo teologia in quest’opera, in quanto i riferimenti filosofici sono ben chiari: in primis infatti possiamo notare i rimandi alle due più importanti scuole dell’antichità, quella platonica e quella aristotelica.
Da sottolineare comunque il fatto che è stato in primis il Cristianesimo a prendere a piene mani dal pensiero di questi due giganti della filosofia per “giustificare” e spiegare appunto filosoficamente alcune concezioni e posizioni teologiche.
Ad esempio Dante, come Platone, concepisce il Paradiso come un mondo superiore, un regno delle Idee perfette e immutabili, a cui l’anima umana (immortale, anche qui come in Platone) aspira e a cui si rivolge attraverso la potenza dell’Eros, che in questo caso sarebbe espresso dal Desiderio (la Grazia divina, rappresentata da Beatrice).

Dante è accompagnato nei primi due regni da un “maestro” (come fu Socrate per Platone), una guida simbolo della Ragione umana. Seguendo l’idea tomista che, oltre alla Ragione, occorre avere fede per giungere a Dio, nel Paradiso la guida diventa proprio Beatrice. A tal proposito possiamo cogliere anche una certa affinità con l’Itinerarium mentis in Deum di Bonaventura da Bagnoregio, visibile anche nella divisione in livelli del Paradiso.

Oltre alla cosmologia, anche la base etica è invece di matrice aristotelica, con la ricerca della felicità ottenuta attraverso la virtù. Scelta che influenza profondamente sia la rappresentazione dei peccati sia appunto quella delle virtù.


Lo scopo del viaggio è di tipo educativo: occorre riportare gli uomini sulla “retta via” e verso la Verità. Questa, a mio modo di vedere, è la morale nascosta che possiamo cogliere immaginando l’uscita dal Paradiso per un ritorno alla “vita terrena”: Dante non solo offre una panoramica tra i vizi e le virtù, lo fa proprio per metterci in guardia sui rischi di una scelta etica difforme.

Da questi punti di partenza possiamo trovare degli ottimi spunti di riflessione e di collegamento con il pensiero di Jacques Lacan, specialmente con due testi dell’analista francese: il Seminario VII, L’etica della psicoanalisi, e il saggio tratto dagli Scritti, Kant con Sade.

Se nell’Inferno, così come in Al di là del principio di piacere di Freud, abbiamo di fronte a noi dei pazienti che

non vogliono guarire, essi mostrano un attaccamento inquietante alla loro sofferenza, abbracciano languidamente proprio ciò che li rende schiavi, adorano ciò che gli fa male (M. Recalcati, Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Il modello aristotelico dell’etica e il principio di piacere di Freud, pp. 278-281),

Jacques Lacan nel Seminario offre una lettura della tragedia sofoclea Antigone che si discosta dalle interpretazioni etiche tradizionali, e che ci può tornare utile nel ragionamento.
Sullo sfondo di una lezione riguardo all’etica della psicoanalisi, Lacan ci presenta un corposo discorso filosofico sull’etica in generale, che non ha niente a che fare con le altre visioni greche, soprattutto con quella aristotelica.
Antigone, emblema del Desiderio, si trova di fronte a un bivio: obbedire alla legge del Re di Tebe, nonché suo zio, Creonte, che sembra quasi aver letto le etiche aristoteliche in anticipo, vista la sua fissazione per il Bene comune della polis, che vieta la sepoltura del fratello Polinice, oppure seguire la legge interiore, quella degli Dei – quella del “Nome-del-Padre” –, che le imporrebbe di dare sepoltura ai propri cari.

Scegliendo di seppellire il fratello, Antigone sfida l’ordine sociale e si oppone al potere di Creonte, ma allo stesso tempo rivendica il proprio Desiderio e la sua fedeltà ai principi morali che la guidano. Scelta che la porterà alla condanna a morte.
Nel suo saggio Kant con Sade, invece, l’analista francese indaga il rapporto profondo e inaspettato tra le opere del filosofo tedesco Immanuel Kant e quelle del marchese francese Donatien Alphonse François de Sade. Qui la tesi è molto interessante e si ricollega a quanto detto sull’Antigone: Kant e Sade, pur rappresentando figure diametralmente opposte, affrontano entrambi la questione fondamentale dell’etica e del Desiderio.

Kant, con la sua filosofia morale rigorosa e razionale, pone le basi per un’etica universale basata sul dovere e sul rispetto per la legge. Sade, invece, con la sua filosofia del boudoir, che è anche il titolo dell’opera, attraverso le sue opere letterarie provocatorie e spesso cruente, esplora i confini della trasgressione e del piacere, sfidando le norme sociali e morali.

Quello che ne emerge è il trovarsi di fronte a due facce della stessa medaglia: Kant, con la sua enfasi sulla legge morale, evidenzia il limite strutturale del desiderio umano, mentre Sade, con la sua esibizione di trasgressione sfrenata, rivela la natura inafferrabile del godimento.

Anche Kant con Sade è una grandissima lezione etica dal punto di vista della responsabilità, come sottolinea magistralmente l’allievo prediletto dell’analista francese, Jacques-Alain Miller: a partire da quanto sostenuto da Lacan, ovvero che l’errore etico del soggetto stia nel “cedere sul proprio desiderio”, sostiene che

il modo migliore di capire questa frase è pensare che “non cedere sul proprio desiderio” abbia un rapporto molto stretto con “fare il proprio dovere” (Delucidazioni su Lacan, p. 47).


Ed è questa la morale di fondo della Commedia, letta con uno sguardo moderno: un’assunzione di responsabilità di fronte al proprio Desiderio e alle proprie pulsioni, senza seguire una morale volta al bene assoluto che, concordando con Lacan, ritengo non esista.
Incentivati dal declino della società moderna, infatti, ci nascondiamo dietro agli altri, al caso, alle circostanze, ritenendoci impotenti di fronte al nostro destino e alle nostre scelte. Una mossa infantile, poichè sebbene il mondo sia dotato di una struttura e di sovrastrutture capaci di “tapparci le ali”, sta a noi scegliere giorno per giorno “cosa essere” e “come essere”.
Quello che conta infatti è prendersi la responsabilità del proprio agire e del proprio “stare nel mondo” e quindi, necessariamente, delle relative conseguenze, qualunque esse siano.

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