Dante, desiderio, Donna.III

Desoggettivazione, “Principio di piacere” e “Al di là del principio di piacere” nell’Inferno.

Delle tre cantiche della Commedia, quella che affascina sicuramente di più il pubblico è quella dell’Inferno. Qui, infatti, troviamo persone dalla straordinaria umanità, persone che vengono sì descritte in maniera orribile, ma che non sono dissimili dai viventi, anche moderni.

Come detto a commento dell’estratto del Convivio, il Desiderio accompagna l’umanità dall’alba dei tempi, così quindi come vizi e virtù. I trattati di etica occupano la storia della filosofia occidentale fin dall’antica Grecia, mostrando le contraddizioni di un’umanità che sa come dovrebbe comportarsi ma, come si suol dire, “predica bene ma razzola male”.

Piergiorgio Bianchi, nella sua opera Dante, Lacan (che consiglio vivamente), pone un tema molto interessante:

L’universalità della pena cancella la singolarità dell’individuo, gli effetti di scrittura alterano i tratti distintivi della persona, costringendo il dannato ad emergere dall’indifferenziato, a dichiararsi come soggetto: deve pronunciare il proprio nome, se vuole farsi riconoscere. […] Non basta dunque prendere la parola; per essere ascoltati occorre nominarsi. (Dante, Lacan, p. 32 versione ebook).

Quello che balza all’occhio è l’universalità della pena: uomini, donne, ricchi, poveri, potenti, poveretti, tutti coloro che si sono macchiati di una colpa vengono “cancellati” da Minosse; rimane il solco di un soggetto desiderante che viene però de-soggettivato. Come nelle opere di Fontana, ci troviamo di fronte a dei tagli, tutto il resto è superfluo.
Rimane il Desiderio, rimane la Pulsione, ma quelli che vediamo sono sembianti stravolti

“fino a rendere irriconoscibile chi parla, la nominazione subentra per rendere nota al lettore l’identità del soggetto” (ivi, p. 28).

I dannati fanno Uno con la loro pena (che sia affine oppure opposta alla colpa) affinchè di loro non vi sia nemmeno un ricordo. La damnatio memoriae.

È affascinante anche come questi dannati siano la quintessenza del doppio statuto Eros-Thanatos (Lustprinzip-Todestrieb utilizzando la terminologia tedesca freudiana anzichè quella lacaniana), che in Lacan appunto diventano la doppia faccia della stessa medaglia: il godimento infatti è neutro, non è figlio dell’etica aristotelica. Giunge in maniera inaspettata, poichè per l’inconscio del soggetto la volontà di soddisfare un desiderio va “al di là del principio di piacere”, diventando prioritaria rispetto al raggiungimento della felicità.

Questa cosa nella Commedia è spinta al limite, in quanto la pulsione di morte diventa la causa della dannazione eterna, il sintomo invece si manifesta nel contrappasso, di cui le anime perdute non sono pienamente consapevoli, dal punto di vista del senso.
Come infatti sottolinea Bianchi:

“Pur essendo iscritta nella Legge del contrappasso, che prevede l’analogia o il contrasto, essa rimane a loro indecifrabile: lettera chiusa nella propria opacità a-semantica. Il dolore inflitto non muta la condizione di chi vi sia sottoposto, la pena infernale non redime ma condanna semmai alla ripetizione sintomatica. È una condizione immutabile ed eterna a cui non è possibile sottrarsi. Di fronte ad essa i dannati invocano l’annientamento” (ivi, p.15).

L’Inferno, riassumendo, possiamo leggerla come vasta allegoria dell’inconscio in cui il sintomo appare in tutta la sua assenza di senso al soggetto, così come avviene nella vita reale.
Curiosa quindi la coppia, ma la metafora non è certamente mia, di un Virgilio analista e di un Dante analizzante che affrontano i meandri dell’inconscio. Interessante inoltre che, seguendo l’allegoria, mentre Dante affronta il viaggio in cerca della Verità, Virgilio si mostri come soggetto supposto sapere, quando in realtà non fa altro che guidare il poeta fiorentino. Le risposte verranno meditate e maturate solo al termine del viaggio, con l’uscita dal Paradiso, che affronteremo nella prossima parte.

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