Nel capitolo dal titolo “Schiavitù e libertà” del saggio (del 1957, pubblicato in Italia nel 1973 e poi riproposto nel 2015) che Karl Theodor Jaspers (1883-1969) dedica a Baruch Spinoza (1632-1677) si affronta il problema decisivo della libertà. Spinoza, da un lato, sostiene che la libertà non esiste, è un’autoillusione perché “gli uomini sono consapevoli dei loro desideri ma ignorano le cause da cui loro stessi sono determinati” (Epistola 58). Ma dall’altro lato Spinoza afferma chiaramente che la libertà esiste. Jaspers spiega come si risolve questa apparente contraddizione. “La libertà è lo stesso che la necessità. Occorre distinguere tra la necessità per costrizione esterna, determinata dalla causazione di un altro essere, e la necessità interna come divenire, determinato dall’interna successione della propria natura. Quando l’effetto deriva unicamente dalle conseguenze dell’essenza propria, allora la necessità è anche perfetta libertà. Tale libertà conviene perfettamente soltanto a Dio. La libertà di Dio è causa libera, non volontà libera” (K.T. Jaspers, Spinoza, Castelvecchi, Roma, 2015, p. 87). Per quanto riguarda l’uomo, le cose cambiano. “L’uomo è libero – dice Jaspers – solo in quanto è causa adeguata del suo agire nella conoscenza chiara del principio e di quanto ne consegue. Invece, è non libero in quanto pensa e agisce muovendo da idee inadeguate, da affezioni esteriori e interiori, immesso nella sconfinata connessione dell’operare reciproco dei modi (K.T. Jaspers, cit., p. 87). Ma come si inserisce il “dovere” in questa libertà che si realizza nella necessità? il comando, cioè, di fare un qualcosa come può riguardare qualcosa che è necessario accada? Per Spinoza il dovere è contenuto nella necessità, in modo tale che essa possa illuminarsi e concepirsi come tale, in modo da non essere subìta, ma agita. Si tratta dell’agire secondo ragione “che non è altro che compiere quel che consegue dalla necessità della nostra natura” (Etica, IV, Proposizione 18, Scolio). Questa azione incontra la resistenza delle passioni, che possono essere vinte non con il dominio della volontà – il che sarebbe violenza – ma con la loro conoscenza, tanto più profonda quanto più ne abbiamo un’idea chiara e distinta. “Quindi un affetto sarà tanto più in nostro potere, e di conseguenza, tanto meno ne patirà l’anima, quanto più sarà a noi noto” (Etica, V, Proposizione 3, Corollario). “Poiché la ragione fa svanire gli affetti senza combatterli, le prescrizioni di Spinoza sono dirette solo all’acquisto di attività della conoscenza. Egli sa che in tal modo procede sulla via della necessità naturale. Né tormento, né ostinazione, né costrizione si trovano in Spinoza; piuttosto sorge in lui la disposizione al distaccato riconoscimento di tutte le cose, al di là del bene e del male (…) Spinoza nega che nella ragione stessa sorga spontanea un’esigenza incondizionata con la potenza di un comando (…) Per Spinoza ove la ragione si fa luminosa, la moralità secondo la legge naturale sorge da sola, in quanto, essendo divina, coincide con la stessa ragione” (K.T. Jaspers, cit., p. 102).
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