Baruch Spinoza (1632-1677) ci ha lasciato in eredità un pensiero che trascende sicuramente l’epoca di appartenenza del filosofo. Per questo è stato continuamente studiato e attualizzato. Dopo alcuni articoli che ho dedicato alla dottrina delle passioni di Spinoza, vorrei dedicare una serie di articoli alle riletture che alcuni filosofi del XX secolo hanno fatto del pensiero spinoziano. Inizio con Piero Martinetti (1872-1943) che, ricordiamo, fu rimosso dall’insegnamento universitario nel 1931 per aver rifiutato il giuramento di fedeltà al regime fascista. Martinetti ha dedicato a Spinoza alcuni saggi. Oggi mi soffermo sul saggio dal titolo La dottrina della conoscenza e del metodo nella filosofia di Spinoza, in Rivista di filosofia, VIII (1916), 289-324 (ora ripubblicato in un volume dal titolo La religione di Spinoza, a cura di Amedeo Vigorelli, Mimesis, Milano-Udine, 2022, 37-82). In questo saggio Martinetti, dopo aver analizzato le tre categorie spinoziane della conoscenza imperfetta, cioè la finzione, l’errore e il dubbio, ci conduce alla comprensione del concetto di verità. Per Spinoza la verità delle idee coincide con il loro grado di realtà. Attenzione, egli si riferisce soltanto alle idee, non al loro rapporto con le cose. L’idea ha una sua verità intrinseca prima di rapportarsi agli oggetti esterni. Per esprimere questo concetto Spinoza sostituisce all’espressione ‘idea vera’ l’espressione ‘idea adeguata’. Il mondo delle idee ha una realtà propria, una realtà attiva e vivente che viene accolta nell’atto del conoscere, Conoscere il vero è già quindi conoscere gli errori che si oppongono alla verità. Martinetti riprende qui il bellissimo brocardo spinoziano: sicut lux seipsam et tenebras manifestat, sic veritas norma sui et falsi est (“Come la luce manifesta se stessa e le tenebre, così la verità è norma di sé e del falso”) (Etica, II, scolio 43 e 49). Non si pensi, però, che la conoscenza avvenga per concetti astratti. Questi ultimi, infatti, non sono conoscenze, ma modi con cui le cose sono da noi percepite e, come tali, trattenute a spiegate con l’immaginazione e con il linguaggio. Le parole sono segni dell’immaginazione, la quale trasfigura le astrazioni in enti concreti, che, però, non costituiscono conoscenza in sé (onde la varietà delle definizioni e le infinite controversie che nascono quando si vuol fondare la scienza sopra definizioni astratte). Nello stesso tempo è attraverso questi entia rationis (“enti di ragione”) che, comunque, passa la conoscenza, procedendo secondo la serie delle cause da un ente reale ad un altro …et ita quidem ut ab abstracta et universalia non transeamus, sive ut ab iis aliquid reale non concludamus, sive ut ea ab aliquo reali non concludantur (“…e in modo tale che non passiamo a concetti astratti ed universali, sia nel senso di non dedurre da essi alcunché di reale, sia nel senso di non dedurli da alcunché di reale” (Tractatus de intellectus emendatione). In questo modo la gnoseologia spinoziana si distacca, con uno sforzo di straordinaria aderenza alla realtà, sia dall’idealismo che dall’empirismo.
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