La passione per le passioni di Spinoza (13) Il valore delle differenze

Nella nostra epoca si insiste sul tema dell’identità collettiva necessaria a quella individuale (l’idea di nazionalità si fonda su questo assunto indimostrato), vista anche come rimedio alla globalizzazione e frantumazione sociale, quasi che la diversità di ciascuno debba necessariamente completarsi in un’appartenenza ad un modello culturale o sociale per legittimarsi, pena il non avere una sua consistenza propria senza quell’appartenenza. Baruch Spinoza (1632-1677) ci insegna che la differenza non solo attiene alla nostra essenza (non si dimentichi che l’essenza, nel pensiero spinoziano, non è mai plurale, ma è sempre individuale), ma riguarda anche il modo con cui la nostra mente si sforza di perseverare nel suo essere con riferimento al corpo (sforzo, da lui chiamato Appetito che, nel momento in cui è unito alla coscienza di sé, diventa Desiderio, cf. Etica, III, Proposizione IX, Scolio, in Spinoza, Opere, I Meridiani Mondadori, 2007, p. 907). Spinoza spiega che il Desiderio di ciascuno individuo differisce dal Desiderio di un altro in quanto la natura, o essenza dell’uno differisce da quella dell’altro. Siccome, però, la Gioia e la Tristezza non sono altro che il Desiderio stesso (cioè la pulsione delle mente alla conservazione del corpo per una certa durata indefinita) “in quanto incrementato o diminuito, favorito o ostacolato da cause esterne” (cf. Etica, III, Proposizione LVII, cit., p. 951) ne consegue che queste variazioni del Desiderio, differiscono le une dalle altre nella loro essenza. “Sebbene, dunque, ciascun individuo viva contento della natura di cui consta e ne goda, tuttavia della vita di cui ciascuno è contento e quella gioia non sono altro che l’idea o anima dello stesso individuo, e perciò il gaudio dell’uno discorda per natura dal gaudio dell’altro quanto l’essenza dell’uno differisce dall’essenza dell’altro” (cf. Etica, III, Proposizione LVII, Scolio, cit., p. 952). Non tutti, quindi, gioiscono allo stesso modo e sono tristi allo stesso modo. Non esiste un ideale astratto di felicità, a cui tutti dovrebbero conformarsi, con la conseguenza che nessuno dovrebbe avere il diritto di imporre all’altro di come essere felice. Nessun pensiero come quello spinoziano è rispettoso delle differenze, anche del modo con cui ciascuno vuole essere felice, rifiutando quindi ogni omologazione su modelli imposti dal sistema economico o da quelli che oggi chiamiamo gli influencer, la cui azione si basa su un modello antropologico che, per Spinoza, è innaturale, perché presuppone che tutti vogliano godere delle stesse cose. Del resto, proprio nello Scolio qui citato Spinoza ha una simpatica notazione ironica quando afferma che “intercorre una non piccola differenza tra il gaudio da cui è condotto, ad esempio, l’ubriaco e il gaudio a cui perviene il filosofo, cosa che qui ho voluto notare di passaggio” (cf. Etica, III, Proposizione LVII, Scolio, cit., p. 952). Il rischio, sembra avvertire Spinoza, è quello di considerare patologici o devianti anche gli stati di tristezza, laddove attengono semplicemente alla natura di un individuo.

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