Tutto il pensiero etico di Baruch Spinoza (1632-1677) muove da una semplice constatazione: non solo ogni cosa tende a perseverare nel proprio essere, ma si sforza di farlo. Non c’è, quindi, solo una vis existendi ma soprattutto una vis agendi a servizio della prima. È indubbio che questo approccio realistico dell’etica spinoziana la rende immune da ogni normativismo aprioristico e la porta ad un confronto con la vita reale alieno da ogni visione antropologica disincarnata. Egli, infatti, dice che queste forze sono “l’essenza stessa dell’uomo, dalla cui natura derivano necessariamente quelle cose che servono alla sua conservazione; e perciò è determinato a compierle” (Etica, III, Proposizione IX, in Spinoza, Etica, a cura di Cantoni, R. e Fergnani, F., Torino, UTET, ristampa Corriere della Sera, 2019, p. 185). La caratteristica fondamentale che nell’essere umano connota queste forze di esistere e di agire (forze genericamente chiamate Appetito) è, però, il fatto che l’essere umano ne ha coscienza. L’essere umano, cioè, ha coscienza di avere questo Appetito. Questo fatto di averne coscienza non è un elemento accidentale, ma entra come elemento costitutivo dello stesso Appetito umano, al punto che occorre chiamarlo diversamente, per la particolarità che questa coscienza determina nel suo atteggiarsi. Spinoza lo chiama Desiderio. “Fra Appetito e Desiderio non vi è poi alcuna differenza se non che il Desiderio si riferisce per lo più agli uomini in quanto sono consci del loro appetito, e perciò possiamo dare queta definizione: il Desiderio è l’appetito umano unito alla coscienza di sé” (Etica, III, Proposizione IX, Scolio, ibidem). Questo passaggio del pensiero spinoziano è molto delicato, perché fonda il superamento dell’etica aristotelica, che, invece, pone sempre fuori dall’essere umano l’oggetto dell’Appetito, cioè il bene, il bonum trascendentale che viene, infatti, prima conosciuto e giudicato come bene e poi desiderato. Per Spinoza, invece, la forza di esistere (e di agire per esistere) è tale che, laddove nell’essere umano si conformi come Desiderio, l’oggetto desiderato non la precede nella sua esistenza, come causa finale, ma nasce, come causa efficiente, con il nascere del Desiderio stesso. Dice Spinoza “Da tutto ciò risulta che noi non tendiamo a una cosa, non la vogliamo, appetiamo o desideriamo perché giudichiamo che sia buona, ma al contrario, giudichiamo che sia buona perché ci sforziamo di ottenerla, perché la vogliamo, l’appetiamo e la desideriamo” (Etica, III, Proposizione IX, Scolio, ibidem). Il Desiderio fonda la bontà della cosa, non viceversa. Non c’è bisogno di sottolineare l’acutezza di quest’analisi che spiega, con secoli di anticipo, il meccanismo su cui si fonda l’odierna società dei consumi di massa e dell’intrattenimento come strumento generativo del Desiderio. Se non si capisce questo punto fondamentale dell’etica spinoziana, non si può poi comprendere il ruolo enorme che il Desiderio gioca – ruolo di cui parleremo in prosieguo – nel dispiegarsi delle altre due passioni, l’Amore e l’Odio.
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