A volte avverto una strana sensazione, ovvero che stiamo andando pericolosamente incontro alla morte del Soggetto.
Questa visione a prima vista catastrofica appare di fronte ai miei occhi ogni volta che, aprendo i social-media, cado anche io nel vortice del doom scrolling.
Tutto, in quel piccolo mondo antico “un po’ cazzaro” , diventa contenuto ed appunto subito vecchio, stantio, putrido. Tutto diventa oggetto, tutto diventa fenomeno, qualcosa che si dà attraverso un’esperienza sterile fatta col pollice.
Nonostante i tentativi di alcuni utenti l’interiorità delle persone, e la sua importanza, diventa inconoscibile come un noumeno.
“Il y a de l’Un”, c’è dell’Uno, scriveva Lacan nel lontano 1972 . C’è dell’Uno soprattutto perché c’è qualcosa di noi, o almeno ai suoi tempi se la passava meglio nonostante le prime bordate del “discorso del capitalista” , che ha a che fare con l’Uno.
Un “discorso” che paradossalmente è proprio foriero di una rottura insanabile nel dialogo con il prossimo.
L’Uno lacaniano, ma anche platonico e plotiniano. Dentro di noi c’era e c’è ancora, sopravvivendo a fatica, un qualcosa che è un Bene che si contempla e si bea di se stesso, a scapito nostro .
Un Uno quindi a metà tra un godimento autistica e un qualcosa che implica il “saperci fare” con gli altri. Un’aspirazione alla completezza che sfocia però in una doppia alienazione da sé: interiore all’interno dell’inconscio, ed esteriore perché si prova a colmare i vuoti con ciò e con chi ci circonda.
Non che prima dell’avvento dei social media fossimo come gli uomini-palla del mito di Aristofane, del Simposio platonico, anzi.
Se una certa teoria del Soggetto parte dal presupposto che chiunque, tranne ovviamente i casi veramente “clinici”, soffra di un certo grado di follia , significa che comunque storicamente l’umanità ha visto nell’insoddisfazione di sé e delle proprie condizioni un motore che ha mosso la storia e l’economia. Anche la filosofia, ben inteso. Ora invece le cose sono proprio “o peggio” per riprendere il titolo del Seminario citato pocanzi.
C’è o c’era dell’Uno, un Uno particolare, fatto di frammenti eterogenei, insignificanti se presi in maniera a se stante, ma che in un processo al limite della semiotica personale fanno testo, fanno un racconto, ma prendono significato ex-post (après-coup se preferite continuare con il gergo dell’analista francese). Un “romanzo di vita” che ha uno scrittore che coincide con il personaggio principale della sua storia tanto quanto lo potrebbe fare quello stesso soggetto posto di fronte ad uno specchio. Una sorta di specularità coincidente ma che è anche alterità, ma non dialettica. Non è un aut-aut, c’è un “et” che li unisce, ma anche un “se x allora y”.
Un Uno che è singolarità e molteplicità, un insieme che è molto di più della somma delle singole parti.
Un insieme parlante, ma che non parla più, non comunica più nonostante le possibilità contemporanee. Zoon logon echon,
diceva Aristotele , eppure l’animale-umano dotato di logos non comunica più e forse abbandona anche l’altro versante del logos, quello della ragione. Il che è ironico, perchè anche il linguaggio è Uno; anche il linguaggio è un molteplice che diventa una singolarità, un punto di caduta come un buco nero, e anch’esso prende senso solo dopo, quando a volte è troppo tardi.
Uno, non più, due… tre… sì, sicuramente… Anche “stella” perché è quello che si vuole fare, brillare nel buio di quel mondo parallelo.
Scegliamo di non scegliere, perché implica responsabilità, implica mettere in moto quell’Uno che si bea di se stesso. Scegliamo di romperci come cristalli, scegliamo di rompere quella bolla che unisce e racchiude tutto il molteplice. Ora siamo proprio quel molteplice, versatile e volubile.
E dire che basterebbe solo ripartire dal Desiderio, da non confondere con la pulsione, basterebbe ripartire da quel motore interno. Perché desiderare è anche essere “de-sidero”, senza stelle, che nel nostro caso implica proprio perdere quella volontà di brillare ed essere il centro del mondo a tutti i costi. Ma è anche una navigazione cieca, coraggiosa, affidata alla Tychè.
C’era un meme, in cui un tale suggeriva ad un’altra persona di ripassare Copernico in quanto aveva (ri)scoperto che era il Sole il centro dell’Universo e non lei. Ecco, ripassiamo un po’ tutti Copernico…
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