Dante, desiderio, Donna. II


Prima di cominciare, riprendiamo per un momento la citazione tratta dal Convivio:

E perché la sua conoscenza prima è imperfetta per non essere esperta né dottrinata, piccioli beni le paiono grandi, e però da quelli comincia prima a desiderare. Onde vedemo li parvuli desiderare massimamente un pomo; e poi, più procedendo, desiderare uno augellino; e poi, più oltre, desiderare bel vestimento; e poi lo cavallo; e poi una donna; e poi ricchezza non grande, e poi grande, e poi più. E questo incontra perché in nulla di queste cose truova quella che va cercando, e credela trovare più oltre. (Convivio, IV, XII, 16).

Chi ha una base di conoscenza di psicoanalisi lacaniana sa che quella Cosa (das Ding), che “in nulla di queste cose truova quella che va cercando”, rappresenta l’oggetto (a).
Das Ding era il nome inizialmente utilizzato da Sigmund Freud e che rappresentava il desiderio inconscio nella sua forma più pura, prima che fosse sottoposto alla censura dell’Io. È un desiderio che è impossibile da soddisfare, perché è incompatibile con le leggi della realtà.
In Lacan das Ding diventa l’oggetto (a), declinato però con tre statuti: oggetto perduto – il solo studiato da Freud –, scarto o “resto” di godimento del soggetto diviso. È un oggetto che opera sul bordo, sul taglio del soggetto generato dal Nome-del-Padre, diventando l’oggetto causa del Desiderio.
Se inizialmente, (a) corrisponde alla perdita d’essere introdotta dall’operazione significante, in un secondo momento (a) si configura come la vera singolarità del soggetto, e nell’operazione di separazione viene sovrapposta alla dimensione desiderante dell’Altro. Ed è così che (a) diventa un “resto” di godimento slegato dal Simbolico, che nasce in quanto l’essere umano è un “parlessere” e che entra in gioco nel momento d’incontro con il desiderio dell’Altro. Infine, il simbolo (a) si riferisce anche al concetto di plusgodere, che Lacan elabora prendendo spunto dal plusvalore di Marx (e che chiamerà plusgodere).

Come detto in precedenza il testo prosegue poi così:

Per che vedere si può che l’uno desiderabile sta dinanzi a l’altro a li occhi de la nostra anima per modo quasi piramidale, che ’l minimo li cuopre prima tutti, ed è quasi punta de l’ultimo desiderabile, che è Dio, quasi base di tutti (Convivio, IV, XII, 17).

La “causa di” e la “tendenza a” qui convergono come un doppio movimento ambivalente, secondo Dante (ma non solo ovviamente, se si contestualizza storicamente e culturalmente l’opera), a Dio. Interrogandosi laicamente sulla figura di Dio, volendo inserirla nel nostro puzzle che vede incastrarsi la psicoanalisi lacaniana, la poesia, la filosofia e la teologia medievali, possiamo chiederci cosa sia Dio per noi. Per farlo prenderemo in prestito i cosiddetti tre registri lacaniani.
I tre registri sono: Reale, Simbolico ed Immaginario. Per Lacan, i registri sono costitutivi della realtà. Il loro intreccio, costituito a partire dal “Nome-del-Padre”, è la rappresentazione dell’esperienza umana. Il “Nome-del-Padre” è un significante che regola l’inconscio, in parte, attraverso la creazione di un limite strutturale (castrazione) alla capacità del soggetto di auto-godimento associato e che rappresenta l’autorità simbolica del padre nella struttura familiare. È ciò che crea una scissione nel soggetto che si trova diviso tra l’essere ciò che è e ciò che in realtà vorrebbe essere o come si vede rappresentato.
Nello specifico il Simbolico è il luogo del linguaggio, della Legge, del Limite, dell’Altro. L’Immaginario invece è il luogo dell’identificazione dove il Soggetto si trasforma a seconda dell’immagine di se stesso assunta di volta in volta. Il Reale è ciò che sfugge al Simbolico e all’Immaginario, e quindi anche al linguaggio. Di fronte al Reale il linguaggio non ha affatto presa, e quando proviamo a metterlo in una trama di senso, falliamo. Ci sono dei significanti per eccellenza, come la Morte oppure l’orgasmo.

Partendo dall’Immaginario, Dio può essere visto come un ideale dell’Io, una figura che incarna la perfezione e la completezza. Può anche essere l’oggetto di una proiezione narcisistica, un’immagine che il soggetto cerca di raggiungere, oppure l’ Io ideale che spinge le figure dittatoriali all’apoteosi (vedasi gli imperatori romani). Questa visione di Dio può essere una base di partenza alla critica e alla confutazione della sua esistenza, a partire ad esempio da una visione filosofica materialistica.

Nel registro Simbolico Dio può essere considerato come il garante dell’ordine simbolico, il Nome-del-Padre che introduce la legge (le Tavole di Mosè) e la proibizione (il divieto di mangiare la mela, pena il castigo eterno). È la figura che trascende il soggetto e che gli impone dei limiti.

Infine, nel registro del Reale, Dio può essere inteso come ciò che sfugge alla simbolizzazione, l’assoluto che non può essere completamente rappresentato se non con i suoi opposti conoscibili (teologia apofatica). È l’oggetto del desiderio inconoscibile, ciò che spinge l’uomo alla ricerca incessante.

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