1. Dante come poeta del Desiderio.
Su Dante Alighieri si è scritto e detto di tutto; quindi, questo testo potrebbe apparire superfluo ai più. Non sorprende infatti che già i suoi contemporanei si fossero cimentati in commentari alla Commedia. Anche da un punto di vista filosofico e psicoanalitico i discorsi certamente non mancano, ed è proprio da questi due ultimi aspetti che parte la mia riflessione.
Perchè Dante Alighieri è un gigante, un autore che ha magistralmente descritto non solo la sua epoca ma anche le persone che l’hanno vissuta.
Certamente, leggendo le sue opere, non possiamo fare a meno di vederlo come una figura che ha trattato un tema psicoanalitico importantissimo, ante litteram ovviamente: il Desiderio.
Prendiamo ad esempio questi due passi e commentiamoli insieme. Il primo proviene dal Convivio ed il secondo dal Vita nova:
E perché la sua conoscenza prima è imperfetta per non essere esperta né dottrinata, piccioli beni le paiono grandi, e però da quelli comincia prima a desiderare. Onde vedemo li parvuli desiderare massimamente un pomo; e poi, più procedendo, desiderare uno augellino; e poi, più oltre, desiderare bel vestimento; e poi lo cavallo; e poi una donna; e poi ricchezza non grande, e poi grande, e poi più. E questo incontra perché in nulla di queste cose truova quella che va cercando, e credela trovare più oltre. (Convivio, IV, XII, 16).
Quello che più ci sorprende di questo passo è certamente la modernità: come sottolinea il prof. Alessandro Barbero nelle sue lezioni magistrali su Dante, possiamo effettivamente rispecchiarci in questa evoluzione del Desiderio. Ancora oggi, specie in adolescenza, continuiamo a “desiderare bel vestimento” per apparire, mentre rispetto al cavallo ora bramiamo il motorino o l’automobile.
C’è quindi una sorta di motore interno, nascosto e sommerso, che spinge il nostro Desiderio al fine di colmare una mancanza, che tale rimane nel tempo. Nei versi successivi Dante indica un collegamento del Desiderio con Dio:
Per che vedere si può che l’uno desiderabile sta dinanzi all’altro a li occhi de la nostra anima per modo quasi piramidale, che ’l minimo li cuopre prima tutti, ed è quasi punta de l’ultimo desiderabile, che è Dio, quasi base di tutti – Convivio, IV, XII, 17).
Ogni volta che desideriamo qualcosa di piccolo, questo desiderio sembra il più importante, ma in realtà è solo un gradino verso un desiderio più grande. Alla base di tutti i desideri, secondo Dante, c’è il Desiderio di Dio, un bene infinito e perfetto.
Troviamo quindi già qui le basi della sua ascesa nel Desiderio, che diventa uno dei cardini del testo della Commedia.
Prendiamo adesso invece come esempio un passo tratto dal Vita nova, in cui ci racconta il secondo incontro con Beatrice, avvenuto all’età di diciotto anni:
Poi che furono passati tanti die, che appunto erano compiuti li nove anni appresso l’apparimento soprascritto di questa gentilissima, ne l’ultimo di questi die avvenne che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo, in mezzo a due gentili donne, le quali erano di più lunga etade; e passando per una via, volse li occhi verso quella parte ov’io era molto pauroso, e per la sua ineffabile cortesia, la quale è oggi meritata nel grande secolo, mi salutoe molto virtuosamente, tanto che me parve allora vedere tutti li termini de la beatitudine. L’ora che lo suo dolcissimo salutare mi giunse, era fermamente nona di quello giorno; e però che quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire a li miei orecchi, presi tanta dolcezza, che come inebriato mi partio da le genti, e ricorsi a lo solingo luogo d’una mia camera, e puòsimi a pensare di questa cortesissima (Vita nova, cap. 3).
Il giovane Dante, poco più che adolescente, incontra nuovamente Beatrice e ne rimane folgorato come la prima volta. Anzi, è talmente felice che l’abbia riconosciuto e salutato da correre subito a casa a pensare (o meglio, a fantasticare) su quel fortunato incontro. Questa volta non c’è alcun riferimento a Dio, anzi, nei versi successivi racconta di aver sognato una creatura mostruosa che reggeva in mano Beatrice, nuda, e che questa per lui era una metafora dell’Amore: una creatura che porta turbamento e spavento ad una mente tranquilla e lontana dalle passioni.
Concludiamo con un celeberrimo passo della Commedia, tratto dal V canto dell’Inferno in cui ci viene presentata la storia d’amore tra Paolo e Francesca:
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
“Caina attende chi a vita ci spense”.
Queste parole da lor ci fuor porte.
(Inferno, V, 100-108).
Dante presenta l’amore come una forza potente e inarrestabile, che si impadronisce del cuore senza chiedere il permesso. È un sentimento che trascende la volontà e la ragione, è la quintessenza del Desiderio. Né Paolo né Francesca seppero resistere alla forza travolgente dell’amore, condannandosi così alla perdizione eterna. La colpa? Nonostante la rappresentazione dell’amore come una forza incontrollabile, Dante non esonera i due amanti dalla responsabilità delle loro azioni. L’Inferno è la loro punizione per aver ceduto alla passione senza freni.
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