Una riflessione che si rispetti non può non considerare tra i suoi oggetti la morte, anzi, questa ne deriva necessariamente, seppur per molti versi sempre in forme generali e variegate.
Tutti i filosofi della storia, sin da Talete, hanno speculato sulla morte. E possiamo certamente dire che tutti gli uomini lo hanno fatto e continuano a farlo, seppur non tutti nella stessa misura e con la stessa qualità.
Entrando più nel merito, non è tanto scontato quanto vero che solo l’uomo pensa alla propria morte? L’animale in quanto tale, non è forse esente da questo supplizio autoindotto? Si può accennare al fatto che l’uomo è dotato di pensiero razionale e quindi abbia coscienza del prima e del poi, dell’intero, di se stesso come essere esistente e cosciente, del qui ed ora (seppure ormai come forma auspicabile).
Secondo il grande pensatore cinquecentesco Michel de Montaigne, la vita dovrebbe avere come obiettivo solo se stessa e la morte assumere valore solo come fine e non come mezzo. Certo c’è da dire che la morte dà senso alla vita, la rende unica e irripetibile; infatti, ogni nostra vita è diversa da tutte le altre e unica nel suo genere. Gli dèi essendo immortali, non vivono, non sono soggetti alla temporalità mentre l’uomo, come anche gli animali e le piante, sono viventi e in quanto tali sono temporali e quindi mortali. Ci dice Montaigne che l’intera vita dei filosofi altro non è che una meditazione della morte. (Saggi, I/20, 1572) Il concetto è ripreso da Cicerone che a sua volta lo attribuisce a Socrate.
Il punto di domanda a cui tentare di dare una risposta, continua ad essere uno soltanto: come possiamo arrivare alla morte in modo cosciente, consapevoli della nostra finitezza e avulsi della falsa idea di esseri immortali?
Prendendo spunto dalla riflessione orientale si può affermare che la vita e la morte sono due facce della stessa medaglia e che solo vivere in simbiosi con la natura potrebbe farci immergere nella coscienza universale e consapevole di noi stessi e affrontare questo fatal destino in modo quanto più sereno. Amare la vita significa amare la morte, non c’è l’una senza l’altra. Dobbiamo essere grati per la fortuna che abbiamo avuto nell’avere il barlume di vita che abbiamo, tra le infinite possibilità ci siamo noi e non il nulla, non è una cosa scontata. Siamo un granello di sabbia che emerge e scompare tra le acque infinite dell’universo.
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Ottima riflessione.
Per molte filosofia, la morte non esiste, è solo un’illusione, come la vita stessa, dicono altre.
In qualche modo, abbracciare il concetto di morte ci libera dalla sua angoscia.
Grazie Ramsis! Si, diciamo che la parte più difficile è proprio abbracciare questa idea e farla propria, ma una volta raggiunta questa consapevolezza, la serenità sarà dietro l’angolo!