Condurre una dissertazione che abbia come tematica l’immortalità dell’anima significa inevitabilmente proiettare il nostro pensiero a Platone. In realtà, in seguito a numerosi studi eseguiti sull’origine di tale credenza, si è giunti alla conclusione che anche prima del V-IV secolo a.C. il tema dell’immortalità dell’anima fosse largamente diffuso.
Infatti, fin dai tempi più remoti, l’uomo ha condotto numerose riflessioni sul tema della morte e sulla possibilità che la vita non cessi di essere con il perire del corpo. La possibilità che l’anima potesse sopravvivere al corpo eternamente, ha stimolato il pensiero filosofico occidentale trovando terreno fertile tra pensatori, intellettuali e scienziati. Ad enunciare le prime credenze circa la sopravvivenza dell’anima in seguito alla morte del corpo furono gli egizi, i quali credevano che l’uomo nascesse con due anime: il Ba e il Ka. Il Ba era destinato ad effettuare il viaggio verso l’aldilà dove riceveva il premio o la punizione in base alla condotta di vita; il Ka era destinato a rimanere nel corpo anche in seguito alla morte di esso. Convinti di poter vivere un’ulteriore vita in seguito al perire di quella terrena, gli Egizi erano soliti mummificare il corpo del faraone per permettere al defunto di conservarlo per lungo tempo, così nella vita ultraterrena sarebbe stato l’immortale custode dell’anima. La teoria della metempsicosi era condivisa anche dagli Egizi, ma sarà una delle tematiche principali del Pitagorismo. L’anima per i pitagorici passa da un corpo all’altro fino a quando non sarà completamente espiato il peccato. Infatti, secondo le credenze orfico-misteriche, l’uomo è macchiato da un peccato generatosi nel momento esatto della nascita. Ma perchè l’orfismo?
Eric Dodds, nel suo scritto “I Greci e l’irrazionale” parlando di tale corrente sostiene che in essa si riscontra per la prima volta un riferimento ad un’anima di natura divina (ψυχή, psyché) contrapposta al corpo (σῶμα sōma)[1].
La nascita degli esseri umani fu tramandata come riporta Dodds:
“Dioniso, figlio di Zeus, viene fatto a pezzi e divorato dai Titani. Come punizione i titani vengono folgorati e inceneriti da Zeus. Dalle loro ceneri, nascono gli uomini che presentano una natura dionisiaca (divina) e una natura titanica (corporea). La reincarnazione si compie fino all’espiazione completa della colpa attribuita ai Titani.[2]”
Nell’Orfismo, un ruolo fondamentale è dunque giocato da Dioniso, che ritornerà nella tradizione platonica. Nel frammento 288 della raccolta dei testi orfici dovuta a Kern leggiamo che “l’anima è immortale e proviene eternamente giovane da Zeus.[3]”
Lo studioso Nicola Turci a proposito dell’Orfismo scriveva nel 1923:
«L’Orfismo è il più grande fenomeno religioso di carattere mistico che si affaccia alla Grecia del VI secolo a.C. Giacché in esso vediamo sorgere Confucio e Lao Tse in Cina; il Buddha in India; Ezechiele tra gli Israeliti; Zarathustra in Iran e Pitagora tra gli Elleni.[4]»
Eric Dodds parla di Pitagora come il fondatore di una specie di ordine religioso con una regola di vita condizionata dalle aspettative di vite future. In questo caso è possibile ci siano dei precedenti, come il trace Zalmoxis il quale, come dice Erodoto, riunì i “migliori cittadini” e annunciò loro non che l’anima umana fosse immortale, ma che essi e i loro discendenti sarebbero vissuti per sempre[5].
Erodoto nel secondo libro delle “Ἱστορίαι” riferendosi agli Egizi scrive: “Demetra e Dioniso sono i signori del mondo sotterraneo, gli egiziani sono anche i primi ad aver enunciato questa dottrina, che l’anima dell’uomo è immortale. Che morto il corpo essa entra in un altro essere animato che di volta in volta nasce, quando è passata in tutti gli esseri di terra, di mare e di cielo, entra di nuovo in un corpo umano che viene alla luce, il suo circuito si compie in 3000 anni. Ci sono dei greci che si sono valsi di questa dottrina, alcuni prima altri dopo, come se fosse loro propria. Pur conoscendoli, non ne scrivo i nomi.”
In Erodoto, pur non essendo presente il nome di colui il quale si sarebbe valso di enunciare per primo la credenza delle trasmigrazioni, è abbastanza naturale pensare a Pitagora e alla teoria della Metempsicosi. Sarà Porfirio il cui pensiero ci è stato tramandato grazie alla testimonianza 8 della Raccolta di Kranz (opera filologica concepita come raccolta definitiva di tutti i testi superstiti relativi ai filosofi greci che praticarono la filosofia prima dell’avvento di Socrate.) ad attribuire a Pitagora la dottrina della metempsicosi, fornendo il nome che Erodoto scelse di non pronunciare.
Erodoto nel libro 4 delle Ἱστορίαι presenta la figura di Zalmoxis e di come questo demone abbia potuto propagandare e persuadere i suoi concittadini circa la sua immortalità. Questo Zalmoxis pare fosse uno schiavo greco che aveva servito Pitagora. Dopo che fu liberato acquisì ingenti ricchezze, e si fece costruire un nascondiglio dove si rifugiò per tre anni, dopo che aveva fatto annunciare dai suoi familiari la sua morte. Trascorsi i tre anni tornò tra i Traci, i quali non vedendolo, lo piansero come morto avvalorando la tesi della sua immortalità. Erodoto ricostruisce la vicenda di Zalmoxis in maniera scettica, come smascherando un trucco.
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[1] Dodds, E. R., Vacca De Bosis, V. (2009). I greci e l’irrazionale. Italia: Rizzoli. p. 27-33. [2] Ibidem. [3] Verzura E., Kern O.,Orfici. Testimonianze e frammenti nell’edizione di Otto Kern. Testi originali a fronte. Italia: Bompiani, 2011. p. 122. [4] Turci N., Le religioni misteriosofiche del mondo antico, Italia: Libreria di Science e Lettere. p. 35. [5] Taufer, M. (2008). Zalmoxis nella tradizione greca. Rassegna e rilettura delle fonti. Quaderni di storia, (68), 131-164.
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Aspettiamo con trepidazione Antonella!