Karl Theodor Jaspers (1883-1969) nel saggio del 1957 dedicato a Baruch Spinoza (1632-1677) sa veramente svelare i nodi essenziali del suo pensiero. Nel capitolo dal titolo “Libertà dallo scopo e dal valore” parlando di Dio, unica sostanza infinita, parla in realtà dell’uomo, che è un modo finito di questa sostanza. Spinoza se la prende con chi pensa che Dio agisca come noi agiamo: per uno scopo. Spinoza – scrive Jaspers – “stabilisce la proposizione sostenuta e chiarificata da tutta la sua filosofia: tutte le cause finali altro non sono che invenzioni umane. In natura ogni cosa procede con una necessità eterna e con perfezione suprema: Dio agisce ma non ha scopo. Infatti, egli non ha bisogno di altro. Non c’è nulla di cui manchi” (K.T. Jaspers, Spinoza, Castelvecchi, Roma, 2015, p. 77). Anche la natura non conosce scopi, mentre gli uomini sono soliti formarsi idee generali anche delle cose naturali, idee che ritengono quasi essere modelli delle cose; quando queste cose non corrispondono a tali idee, gli uomini dicono che la natura ha mancato o commesso un errore. Ma queste sono valutazioni – dice Jaspers – “di un essere che vive, come ogni modo, nei limiti temporali e spaziali, desiderando il suo utile” e che “vengono tramutate in cose oggettive esistenti in sé e in maniera assoluta, attraverso i concetti di bene e di male, di ordine e di confusione, di bellezza e di bruttezza, di profitto e di perdita. Una simile prospettiva, però, è estranea a Dio” (K.T. Jaspers, cit., p. 78). Mentre gli uomini preferiscono rappresentare le cose, anziché conoscerle. Questa rappresentazione riguarda, però, non lo stato dell’essere delle cose in sé, ma lo stato del loro esserci come modo nella sua finitudine, limitazione, confusione. Questo stato, però, non ci condiziona costrittivamente in tutto e per tutto, nella misura in cui noi, come essenze pensanti, lo conosciamo e lo comprendiamo, potendoci, pertanto, elevare al di sopra di esso. Ecco, quindi, come la facoltà di pensare dello spirito umano, in quanto parte finita dello spirito infinito, è comunque ciò che gli permette di compiere il salto verso la libertà da ogni scopo, trascendendo la prospettiva finalistica che proviene dalle rappresentazioni finite. La modernità del pensiero di Spinoza sta proprio nel superamento critico – che l’epoca dell’antropocene sta iniziando ad affrontare – della visione antropocentrica dele cose, tramite la comprensione del nostro esserci come modo. Come di consueto Jaspers riesce a fare sintesi di questa tensione, tutta spinoziana, tra finito ed infinito: “La grande intuizione dell’infinità del mondo, come modo infinito della sostanza, ci evidenzia due cose: l’uomo stretto nel suo esserci modale, è piccolo, tanto da annullarsi, ma è grande per la sua ragione che lo fa capace di tale intuizione. Il sapere circa la limitazione è già un momento della beatitudine donata dall’essere-in-Dio reso possibile da questo sapere” (K.T. Jaspers, cit., pp. 80-81).
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