Forse ricorderete quello spot pubblicitario che terminava con questo slogan: “Perché l’attesa del piacere è essa stessa un piacere”. Questo slogan riflette l’idea secondo la quale l’attesa che prelude all’esaudimento di un nostro desiderio può rivelarsi il vero piacere, più che la stessa soddisfazione del desiderio. La passione, infatti, fin che rimane tale e non ha modo di realizzarsi pienamente, arreca un piacere che, spesso, una volta che la si è realizzata, appare sorprendentemente superiore al piacere che si ricava dall’averla realizzata. Questo fenomeno spiega, forse, anche quella strana esperienza di alcuni artisti che raccontano di aver perso l’ispirazione il giorno in cui sono riusciti a trasformare la loro passione in lavoro. Quasi che il raggiungimento di una meta agognata si trasformi in una sorta di noia e il sogno, una volta realizzato, si riveli meno bello del previsto. Baruch Spinoza (1632-1677) dedica a questa esperienza un’acuta riflessione quando, partendo dalla constatazione secondo la quale “noi siamo agitati in molti modi dalle cause esterne (…) e siamo sbattuti, come le onde del mare agitate da venti contrari, ignari della nostra sorte e del fato” (cf. Etica, III, Proposizione LIX, Scolio, in Spinoza, Opere, I Meridiani Mondadori, 2007, p. 954), si sofferma su questo curioso conflitto dell’animo riguardo proprio alla passione dell’amore. “A proposito dell’Amore, resta da osservare una cosa: accade molto spesso che, mentre godiamo una cosa che desideravamo, il Corpo assuma da tale godimento una nuova disposizione dalla quale è determinato diversamente, e in esso vengano suscitate altre immagini; e nello stesso tempo la Mente comincia ad immaginare e desiderare altre cose. Per esempio, quando immaginiamo una cosa che di solito ci piace per il suo sapore, desideriamo goderla e cioè mangiarla. Ma mentre ne godiamo lo stomaco si riempie e il Corpo si dispone diversamente. Se quindi, mentre il Corpo è già disposto diversamente, l’immagine di quel cibo viene favorita dalla sua presenza, e di conseguenza viene favorito anche lo sforzo o il Desiderio di mangiarlo, la nuova disposizione contrasterà con tale sforzo o Desiderio, e quindi la presenza del cibo che desideravamo ci sarà odiosa, ed è ciò che chiamiamo Fastidio o Tedio” (Etica, III, Proposizione LIX, in Spinoza, Etica, a cura di Cantoni, R. e Fergnani, F., Torino, UTET, ristampa Corriere della Sera, 2019, p. 231). Per questo esiste un’arte di tenere l’animo sospeso, di non scoprire tutto subito nel raggiungere i nostri scopi, perché questi, una volta raggiunti, non ci vengano a noia. Un contemporaneo di Spinoza, Baltasar Graciàn ((1601-1658) ce lo insegna in uno dei suoi splendidi aforismi: “La meraviglia della novità si tramuta nella stima del successo. Giocare a gioco scoperto non è utile né piacevole. Non scoprirsi subito lascia sorpresi e sopra tutto dove l’altezza dell’impresa suscita l’universale aspettazione, ammanta di mistero ogni cosa e la stessa arcanità genera la venerazione” (Graciàn. B., Oracolo manuale, trad. G. Marone, Carabba, Lanciano, 1929, pp.3-4).
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