Capita spesso che, nonostante la consapevolezza che da Nietzsche in poi si è avuta in merito alla morte di Dio, la massa ha intrinsecamente l’illusorietà catto-giudaica propugnata con incessante fervore dalle chiese di ogni tempo e tradizione. Questo è un problema. Come risolverlo?
Va analizzato da dove derivi questo problema, dal singolo o dalla comunità intesa come gruppo sociale? L’uomo ha da sempre avuto la necessità di credere in qualcosa, qualcosa di esterno alla realtà fenomenicamente accessibile, a qualcosa di metafisico. Può davvero la consapevolezza della morte di Dio farci disilludere e quindi non avere altre divinità? Va altresì ricordato che la morte dell’uomo è per l’uomo qualcosa di non comprensibile, intimamente. Ci si illude costantemente di una eternità che non possediamo ma che guardiamo come se fosse realtà effettuale.
Il problema andrebbe risolto non nella mancanza di credenza aprioristica, in quanto l’uomo vive credendo sempre in qualcosa, che sia una divinità o una passione o di alzarsi al mattino senza che gli succeda qualcosa di negativo o ancora: nelle sue capacità e così via; bensì nello smantellamento della dottrina, dell’imposizione esterna. Bisogna ritornare ad uno spiritualismo puro, che ci riconduca alla reale essenza delle cose attraverso un uso consapevole della ragione, del sentimento e del proprio sé.
L’articolo è soggetto a Copyright© secondo la Legge 22.04.1941 n. 633 (Legge sulla protezione del diritto d’autore), per maggiori informazioni consultare Termini e condizioni.