Nel precedente articolo abbiamo visto come per Baruch Spinoza (1632-1677) le due passioni fondamentali siano la gioia e la tristezza. A seguito della riflessione condotta su queste due passioni, Spinoza introduce i concetti di amore e odio, intuendone la enorme forza che esercitano sull’animo umano in dipendenza del saldarsi delle passioni da cui si generano (rispettivamente la gioia per l’amore, e la tristezza per l’odio) con le idee della loro causa che ne forma la mente. Da ammirare il geniale equilibrio del pensiero spinoziano nel considerare come le passioni, pur nascendo da attività legate ai sensi, si radichino nell’animo umano con quelle caratteristiche che le rendono simili ad energie indomabili in considerazione della veste intellettuale che assumono, di tal modo che, contrariamente a quanto si pensi, la passionalità dell’amore e dell’odio è legata più all’attività della mente che a quella del corpo. “Da ciò intendiamo chiaramente che cosa sia l’amore e che cosa sia l’odio. L’amore non è altro che una gioia accompagnata dall’idea di una causa esterna; l’odio nient’altro che una tristezza accompagnata dall’idea di una causa esterna” (Etica, III, Proposizione XIII, Scolio, in Spinoza, Opere, I Meridiani Mondadori, 2007, p. 911). È in questo accompagnamento all’idea della causa esterna che fa nascere la gioia o la tristezza che si scatena la passione dell’amore e dell’odio come qualcosa di veemente ed invincibile. Questo perché la mente non cessa d’alimentare, con la insistente rappresentazione della causa che ha generato quella gioia e quella tristezza, rispettivamente l’amore e l’odio. Ancora una volta Spinoza, senza alcun distacco dalla realtà fenomenica, è in grado di individuare la radice mentale delle passioni, spiegandone sia la loro acutezza, che spesso degenera in veri e propri disturbi dell’equilibrio psichico (da qui tutta la letteratura sul mal d’amore o sull’odio insanabile), sia la loro persistenza anche in caso di mutamento delle circostanze esterne che ne sono all’origine. Spinoza non solo nota l’avvicendarsi dell’amore e dell’odio nell’animo umano, ma osserva come a volte essi siano compresenti. Egli, infatti, osserva – con straordinaria anticipazione dell’analisi condotta da Sigmund Freud (1856-1939) sull’ambivalenza emotiva – che ci capita di amare e odiare insieme la stessa cosa. “Se immaginiamo che una cosa, la quale suole suscitare in noi un affetto di tristezza, ha qualcosa di simile a un’altra che suole suscitare in noi un affetto ugualmente grande di gioia, la ameremo e la odieremo insieme” (Etica, III, Proposizione XVI, cit., p. 913). Spinoza chiama questa condizione della mente che nasce da due affetti contrari fluttuazione dell’animo, indicando con questa definizione la difficoltà di coglierne l’esatta portata senza scinderne l’unitarietà e, allo stesso tempo, anticipando il tema dell’aggressività insita nella passione amorosa. “Eppure ogni uomo uccide ciò ch’egli ama, e tutti lo sappiamo” scolpirà così Oscar Wilde (1854-1900), in uno dei suoi celebri aforismi, la spinoziana fluttuazione dell’animo.
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