Nel precedente articolo abbiamo visto che la riflessione sulle passioni di Baruch Spinoza (1632-1677) si incentra sul desiderio, inteso come sforzo di favorire e accrescere la mente ed il corpo (sforzo che Spinoza, chiama appetito), uno sforzo non inconsapevole, ma unito alla coscienza di sé. Questo sforzo spinge la mente a mutare, determinando quelle che per Spinoza sono le due passioni fondamentali, a seconda che tale cambiamento porti ad una maggiore o minore perfezione: la gioia e la tristezza. “Per gioia d’ora in poi intenderò la passione per la quale la mente passa ad una perfezione maggiore. Per tristezza, invece, la passione per la quale la stessa passa ad una perfezione minore”. (Etica, III, Proposizione, XI, Scolio in Spinoza, Opere, I Meridiani Mondadori, 2007, p. 908). Va notato come questa analisi sia attenta al mutamento come fenomeno naturale e incomprimibile dell’animo umano e come, quindi, secondo un approccio estremamente realistico, non vi è in Spinoza una teoria della felicità come obbligo e della infelicità come patologia dell’anima, ma una presa d’atto della fisiologica mutevolezza degli stati d’animo collegata alla legge naturale del moto. La sua riflessione si spinge proprio ad esaminare quelli che lui chiama gli affetti che nascono, rispettivamente, dalla gioia e dalla tristezza. Prima, però, è meglio capire cosa Spinoza intende per affetti. “L’affetto, detto patema d’animo, è un’idea confusa, con la quale la mente afferma la forza d’esistere del suo corpo o di una parte di esso maggiore o minore rispetto a prima…” (Etica, III, Definizione generale degli affetti, cit., p. 969). La finezza di questa osservazione sta nel fatto di correlare la dimensione della mente a quella del corpo, in quanto per Spinoza non vi è mai contrapposizione tra i due, questo perché “l’essenza della mente consiste nell’affermare l’attuale esistenza del suo corpo… per cui la mente passa ad una perfezione maggiore o minore quando le accade di affermare del suo corpo, o di qualche sua parte, qualcosa che implica più o meno realtà di prima” (ibidem, p. 970). Questa realtà aumentata o diminuita del corpo, o di parte di esso, quale oggetto dell’idea che se ne fa la mente, è per Spinoza quello che lui chiama, rispettivamente, piacere o dolore. Spinoza ha poi cura di precisare che il piacere è un affetto (o idea confusa) della gioia quando riguarda solo una parte del corpo a preferenza delle altre, mentre, se è riferito a tutte le parti del corpo in modo uguale, questo affetto si chiama allegria. Viceversa, il dolore è un affetto (o idea confusa) della tristezza quando riguarda una parte del corpo, mentre si chiama malinconia quando riguarda tutte le parti del corpo senza differenza tra loro. Non c’è bisogno di sottolineare la modernità di questa configurazione della struttura psicosomatica dell’essere umano, che getta le basi per una comprensione olistica dell’antropologia che ha oggi il suo compimento nelle Brain Sciences.
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