Nel precedente articolo abbiamo visto che, per Baruch Spinoza (1632-1677), l’immaginazione svolge un ruolo decisivo nel suscitare le passioni nell’animo umano. E abbiamo visto come nel pensiero di Spinoza l’immaginazione pone come esistenti degli oggetti invece inesistenti in natura, ma di cui lo spirito, cioè la mente, forma appunto l’immagine. Ne derivano due conseguenze che forniscono la chiave per comprendere la teoria spinoziana delle passioni: da una parte l’immaginazione è una potenza, un atto della mente inerente a un forte attaccamento all’esistenza e, da una altra parte, questo atto è inconsapevole della sua autentica struttura, divenendo quindi fonte, non di una vera potenza, ma piuttosto di un’impotenza. Occupiamoci in questo articolo della prima di queste conseguenze. Come l’immaginazione contrassegna la nostra potenza d’esistere? Qual è la sua autentica intenzione? Ecco la risposta: “La mente è spinta, per quanto può, a immaginare cose che accrescono o favoriscono la potenza d’agire del corpo” (Etica, III, Proposizione, XII, in Spinoza, Opere, I Meridiani Mondadori, 2007, p. 909). L’intenzione dell’immaginazione è dunque chiara e distinta: affermare (anche se in modo irreale) ciò che conferma la potenza d’esistere dell’individuo. L’immaginazione ci accompagna continuamente, in quanto la nostra mente genera senza sosta immagini di ciò che può migliorare, diremmo oggi, il benessere del corpo e della mente stessa. E quando la mente immagina cose che possano diminuire o limitare questo benessere, chiama immediatamente in soccorso la memoria per ricordare cose che escludano l’esistenza delle prime. Di fronte alle difficoltà che segnano l’esistenza, la mente attiva, quindi, la doppia forza dell’immaginazione e del ricordo per svolgere quella funzione di argine e di reazione a ciò che tende a coartare l’esistenza. Non solo. La mente di per sé stessa rifugge dall’immaginare cose che diminuiscano la potenza di esistere sua e del corpo, facendo di tutto per sostituirle con cose che la favoriscano. Questa spinta ad immaginare (che nel linguaggio odierno viene descritta come coltivare un proprio sogno di vita) è un connotato fondamentale del desiderio, inteso come sforzo di mantenere e accrescere la mente ed il corpo (sforzo che Spinoza, chiama appetito), uno sforzo non irriflesso ma unito alla coscienza di sé. Ed è proprio il desiderio che fa nascere la passione come forza che crea il proprio oggetto e che, quindi, non lo segue, ma lo precede: “Da tutto ciò è reso evidente che noi non siamo spinti verso qualcosa, non lo vogliamo, non lo appetiamo né desideriamo perché giudichiamo che sia buono, ma giudichiamo buono qualcosa perché siamo spinti verso di esso, lo vogliamo, lo appetiamo e lo desideriamo” (Etica, III, Proposizione IX, Scolio, cit., p. 907). Spinoza anticipa, in modo quasi profetico, l’analisi filosofica di quei fenomeni che oggi chiamiamo consumismo o collezionismo o tifo sportivo, fenomeni tutti dove la passione, a ben vedere, precede consciamente gli oggetti a cui è rivolta.
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